Ora, forse, possiamo capire meglio l’abisso che separava
Sabina e Franz: lui ascoltava con avidità la storia della sua vita e lei, con
la stessa avidità, lo ascoltava. Capivano perfettamente il significato logico
delle parole che si dicevano, ma non sentivano il mormorio del fiume semantico
che scorreva in quelle parole.
Per questo, quando lei si era messa la bombetta davanti a
Franz, lui si era sentito a disagio, come se qualcuno gli avesse parlato in una
lingua sconosciuta. Quel gesto non gli era parso né osceno né sentimentale, era
soltanto un gesto incomprensibile che lo sconcertava per la sua assenza di
significato.
Fintanto che le persone sono giovani e la composizione
musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in
comune e scambiarsi i temi (così come Tomàs e Sabina si sono scambiati il tema
della bombetta), ma quando si incontrano in età più matura, la loro
composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto,
significano qualcosa di diverso nella composizione di ciascuno.
[…]
[…]
Che cos’e la
civetteria ? Si potrebbe dire che é un comportamento che mira
a suggerire la
possibilità di un’intimità sessuale, senza che questa
possibilità appaia mai
come certezza. In altri termini: la civetteria e una
promessa di coito non garantita.
Tereza é in piedi dietro al bancone e i clienti ai quali
serve gli alcoolici le fanno la
corte. E ’ forse spiacevole per lei quel flusso continuo di
complimenti, doppisensi, barzellette, proposte, sorrisetti, sguardi?
Niente affatto. Prova un desiderio irresistibile di esporre
il proprio corpo (quel corpo estraneo che lei vuole gettare nel mondo) a quella
marea.
Tomàs le ripete continuamente che l’amore e il fare l’amore
sono due cose diverse. Lei non voleva ammetterlo. Ora si trova circondata da
uomini per i quali non prova la minima simpatia. Che effetto farebbe fare l’amore
con loro? Desidera provarlo, almeno nella forma di quella promessa non
garantita chiamata civetteria.
[…]
Quando gli amici gli chiedevano quante donne avesse avuto in
vita sua, Tomàs rispondeva in maniera evasiva e quando insistevano diceva:
«Forse duecento, più o meno ». Alcuni invidiosi ritenevano che esagerasse. Lui
si difendeva: «Non sono poi tante. I miei rapporti con le donne durano da circa
venticinque anni. Dividete duecento per venticinque, e vedrete che fa circa
otto donne nuove all’anno. Non sono poi così tante ».
[...] Che cosa cercava in loro? Che cosa lo attirava verso di
loro? Fare l’amore non è forse l’eterna ripetizione del medesimo?
Niente affatto. Rimane sempre una piccola percentuale di
inimmaginabile. Certo, quando vedeva una donna vestita, sapeva immaginarsi più
o meno come sarebbe apparsa nuda (qui la sua esperienza di amante era
completata dalla sua esperienza di medico), ma tra l’approssimazione dell’idea
e la precisione della realtà rimaneva un piccolo intervallo di inimmaginabile
che non lo lasciava in pace. E poi, l’inseguimento dell’inimmaginabile non
termina con la scoperta della nudità, va oltre: come si comporterà quando lui
l’avrà spogliata? che cosa dirà facendo l’amore? che tono avranno i suoi
sospiri? che spasmo contrarrà il suo viso nell’istante del piacere?
Ciò che l’io ha di unico si cela appunto in ciò che l’uomo ha di inimmaginabile. Noi possiamo immaginarci solo ciò che nelle
persone è uguale, ciò che è comune. L’io individuale è ciò che si differenzia
dal generale, quindi ciò che non si può indovinare o calcolare in precedenza,
ciò che nell’altro si deve svelare, scoprire, conquistare.
Tomàs, che negli ultimi dieci anni di attività medica si è
occupato esclusivamente del cervello umano, sa che non c’è nulla di più
difficile da afferrare dell’io. Tra Hitler e Einstein, tra Breìnev e Solzenicyn
ci sono molte più somiglianze che non differenze. Se lo si volesse esprimere
con un numero, tra loro c’è un milionesimo di diversità e novecentonovantanovemilanovecentonovantanove
milionesimi di affinità.
Tomàs è ossessionato dal desiderio di scoprire e di
impadronirsi di quel milionesimo e ritiene che in ciò risieda il senso della
sua ossessione per le donne.
Non è ossessionato dalle donne, ma da quello che in ciascuna
di esse c’è di inimmaginabile, in altre parole, è ossessionato da quel
milionesimo di diversità che distingue una donna dalle altre donne.
(Forse qui la sua passione di chirurgo convergeva con la sua
passione di donnaiolo. Non posava il bisturi immaginario nemmeno quando era con
le sue amanti. Desiderava impadronirsi di qualcosa che era profondamente nascosto
dentro di loro e per raggiungere il quale era necessario lacerare il loro rivestimento
superficiale).
E vero, quel milionesimo di diversità è presente in tutti
gli aspetti della vita umana, ma lì è esposto pubblicamente, non è necessario
scoprirlo, non è necessario il bisturi per raggiungerlo. Che una donna
preferisca il formaggio al dolce e un’altra non sopporti il cavolfiore è in
effetti segno di originalità, ma è subito chiaro che questa originalità è del
tutto insignificante e superflua, e che non ha alcun senso dedicarvi attenzione e
cercarvi un qualche valore.
[...]
Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un’idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell’infinita varietà del mondo femminile oggettivo.
[...]
Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un’idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell’infinita varietà del mondo femminile oggettivo.
L’ossessione dei primi è lirica:
nelle donne essi cercano se stessi, il proprio ideale, e sono sempre e continuamente
delusi perché l’ideale, com’è noto, è ciò che non è mai possibile trovare.
Poiché la delusione che li spinge da una donna all’altra dà alla loro
incostanza una sorta di scusa romantica, molte donne sentimentali sono commosse
dalla loro ostinata poligamia.
L’altra ossessione è un’ossessione epica e in essa le donne non trovano nulla di commovente: l’uomo
non proietta sulle donne alcun ideale soggettivo, perciò ogni cosa lo interessa
e nulla può deluderlo. E proprio questa incapacità di rimanere delusi ha in sé
qualcosa di scandaloso. Agli occhi della gente, l’ossessione del donnaiolo
epico appare senza riscatto (senza il riscatto della delusione).
Poiché il donnaiolo lirico insegue sempre lo stesso tipo di
donna, nessuno si accorge che egli cambia amante; gli amici gli causano
continui malintesi, perché non sono capaci di distinguere le sue amiche e le
chiamano tutte con lo stesso nome.
Nella loro caccia alla conoscenza, i donnaioli epici (e a
questa categoria appartiene ovviamente Tomàs) si allontanano sempre più dalla
bellezza femminile convenzionale, della quale si stancano presto, e finiscono
irrimediabilmente per diventare dei collezionisti di curiosità. Essi se ne
rendono conto, ne provano un po’ di vergogna e, per non mettere gli amici in
imbarazzo, non si mostrano in pubblico con le loro amanti.
[…]
Delle sue storie d’amore la sua memoria registrava soltanto
il ripido e stretto cammino della conquista sessuale: la prima aggressione
verbale, la prima carezza, la prima oscenità che lui aveva detto a lei e lei a lui,
tutte le piccole perversioni alle quali lui l’aveva pian piano costretta, e
quelle che lei aveva rifiutato. Tutto il resto veniva escluso (quasi con una sorta
di pedanteria) dalla memoria. Dimenticava persino il posto dove aveva visto per
la prima volta questa o quella donna, perché quell’istante precedeva l’offensiva
sessuale vera e propria.
La ragazza parlava del temporale, sorridendo trasognata, e
lui la guardava con stupore, quasi con vergogna: aveva vissuto qualcosa di
bello e lui non l’aveva vissuto con lei. Nella doppia reazione della loro
memoria al temporale notturno era contenuta tutta la differenza fra l’amore e
il non-amore.
Con la parola non-amore non voglio dire che nei confronti di
quella ragazza lui avesse un atteggiamento cinico, che in lei vedesse, come
suol dirsi, solo un oggetto sessuale: al contrario, le voleva bene, apprezzava
il suo carattere e la sua intelligenza, era pronto ad aiutarla ogni volta che
lei ne avesse avuto bisogno. Non era lui a comportarsi male con lei; era la sua
memoria che da sola, a sua insaputa, l’aveva esclusa dalla sfera dell'amore.
Si direbbe che nel cervello esista una regione del tutto
particolare che si potrebbe chiamare memoria poetica e che registra ciò che ci
affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita. Da quando lui ha
conosciuto Tereza, nessuna donna ha il diritto di lasciare in quella parte del
suo cervello foss’anche la più fuggevole impronta.
Tereza occupava come un despota la sua memoria poetica e ne
spazzava via le tracce delle altre donne. Non era giusto, perché ad esempio la
ragazza con la quale aveva fatto l’amore sul tappeto durante il temporale non
era affatto meno degna di poesia di Tereza. Gli gridava: «Chiudi gli occhi,
Stringimi i fianchi, tienimi stretta! »; non riusciva a sopportare che, mentre
facevano l’amore, Tomàs tenesse gli occhi aperti, attenti e scrutatori, e che
il suo corpo leggermente sollevato su di lei non aderisse alla sua pelle.
Non voleva che lui la studiasse. Voleva trascinarlo nel flusso
dell’incantesimo dove non è possibile entrare se non con gli occhi chiusi. E
appunto si rifiutava di mettersi carponi, perché in quella posizione i loro
corpi non si sarebbero toccati affatto e lui avrebbe potuto vederla da una
distanza di quasi mezzo metro. Lei odiava quella distanza. Voleva fondersi con
lui. Per questo sosteneva testardamente, guardandolo negli occhi, di non aver
goduto, anche se l’intero tappeto era umido del suo orgasmo: «Non cerco il
godimento,» diceva «cerco la felicità, e il godimento senza felicità non è
godimento ». In altre parole, lei batteva al cancello della sua memoria poetica.
Ma il cancello era chiuso. Nella memoria poetica di Tomàs non c'era posto per
lei. Per lei c’era posto solo sul tappeto.
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