giovedì 8 marzo 2012

MILAN KUNDERA - L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Ora, forse, possiamo capire meglio l’abisso che separava Sabina e Franz: lui ascoltava con avidità la storia della sua vita e lei, con la stessa avidità, lo ascoltava. Capivano perfettamente il significato logico delle parole che si dicevano, ma non sentivano il mormorio del fiume semantico che scorreva in quelle parole.
Per questo, quando lei si era messa la bombetta davanti a Franz, lui si era sentito a disagio, come se qualcuno gli avesse parlato in una lingua sconosciuta. Quel gesto non gli era parso né osceno né sentimentale, era soltanto un gesto incomprensibile che lo sconcertava per la sua assenza di significato.
Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i temi (così come Tomàs e Sabina si sono scambiati il tema della bombetta), ma quando si incontrano in età più matura, la loro composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di diverso nella composizione di ciascuno.

[…]

Che cos’e la civetteria? Si potrebbe dire che é un comportamento che mira a suggerire la possibilità di un’intimità sessuale, senza che questa possibilità appaia mai come certezza. In altri termini: la civetteria e una promessa di coito non garantita.
Tereza é in piedi dietro al bancone e i clienti ai quali serve gli alcoolici le fanno la corte. E’ forse spiacevole per lei quel flusso continuo di complimenti, doppisensi, barzellette, proposte, sorrisetti, sguardi?
Niente affatto. Prova un desiderio irresistibile di esporre il proprio corpo (quel corpo estraneo che lei vuole gettare nel mondo) a quella marea.
Tomàs le ripete continuamente che l’amore e il fare l’amore sono due cose diverse. Lei non voleva ammetterlo. Ora si trova circondata da uomini per i quali non prova la minima simpatia. Che effetto farebbe fare l’amore con loro? Desidera provarlo, almeno nella forma di quella promessa non garantita chiamata civetteria.

[…]

Quando gli amici gli chiedevano quante donne avesse avuto in vita sua, Tomàs rispondeva in maniera evasiva e quando insistevano diceva: «Forse duecento, più o meno ». Alcuni invidiosi ritenevano che esagerasse. Lui si difendeva: «Non sono poi tante. I miei rapporti con le donne durano da circa venticinque anni. Dividete duecento per venticinque, e vedrete che fa circa otto donne nuove all’anno. Non sono poi così tante ».
[...] Che cosa cercava in loro? Che cosa lo attirava verso di loro? Fare l’amore non è forse l’eterna ripetizione del medesimo?
Niente affatto. Rimane sempre una piccola percentuale di inimmaginabile. Certo, quando vedeva una donna vestita, sapeva immaginarsi più o meno come sarebbe apparsa nuda (qui la sua esperienza di amante era completata dalla sua esperienza di medico), ma tra l’approssimazione dell’idea e la precisione della realtà rimaneva un piccolo intervallo di inimmaginabile che non lo lasciava in pace. E poi, l’inseguimento dell’inimmaginabile non termina con la scoperta della nudità, va oltre: come si comporterà quando lui l’avrà spogliata? che cosa dirà facendo l’amore? che tono avranno i suoi sospiri? che spasmo contrarrà il suo viso nell’istante del piacere?
Ciò che l’io ha di unico si cela appunto in ciò che l’uomo ha di inimmaginabile. Noi possiamo immaginarci solo ciò che nelle persone è uguale, ciò che è comune. L’io individuale è ciò che si differenzia dal generale, quindi ciò che non si può indovinare o calcolare in precedenza, ciò che nell’altro si deve svelare, scoprire, conquistare.
Tomàs, che negli ultimi dieci anni di attività medica si è occupato esclusivamente del cervello umano, sa che non c’è nulla di più difficile da afferrare dell’io. Tra Hitler e Einstein, tra Breìnev e Solzenicyn ci sono molte più somiglianze che non differenze. Se lo si volesse esprimere con un numero, tra loro c’è un milionesimo di diversità e novecentonovantanovemilanovecentonovantanove milionesimi di affinità.
Tomàs è ossessionato dal desiderio di scoprire e di impadronirsi di quel milionesimo e ritiene che in ciò risieda il senso della sua ossessione per le donne.
Non è ossessionato dalle donne, ma da quello che in ciascuna di esse c’è di inimmaginabile, in altre parole, è ossessionato da quel milionesimo di diversità che distingue una donna dalle altre donne.
(Forse qui la sua passione di chirurgo convergeva con la sua passione di donnaiolo. Non posava il bisturi immaginario nemmeno quando era con le sue amanti. Desiderava impadronirsi di qualcosa che era profondamente nascosto dentro di loro e per raggiungere il quale era necessario lacerare il loro rivestimento superficiale).
E vero, quel milionesimo di diversità è presente in tutti gli aspetti della vita umana, ma lì è esposto pubblicamente, non è necessario scoprirlo, non è necessario il bisturi per raggiungerlo. Che una donna preferisca il formaggio al dolce e un’altra non sopporti il cavolfiore è in effetti segno di originalità, ma è subito chiaro che questa originalità è del tutto insignificante e superflua, e che non ha alcun senso dedicarvi attenzione e cercarvi un qualche valore.


[...]


Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un’idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell’infinita varietà del mondo femminile oggettivo.
L’ossessione dei primi è lirica: nelle donne essi cercano se stessi, il proprio ideale, e sono sempre e continuamente delusi perché l’ideale, com’è noto, è ciò che non è mai possibile trovare. Poiché la delusione che li spinge da una donna all’altra dà alla loro incostanza una sorta di scusa romantica, molte donne sentimentali sono commosse dalla loro ostinata poligamia.
L’altra ossessione è un’ossessione epica e in essa le donne non trovano nulla di commovente: l’uomo non proietta sulle donne alcun ideale soggettivo, perciò ogni cosa lo interessa e nulla può deluderlo. E proprio questa incapacità di rimanere delusi ha in sé qualcosa di scandaloso. Agli occhi della gente, l’ossessione del donnaiolo epico appare senza riscatto (senza il riscatto della delusione).
Poiché il donnaiolo lirico insegue sempre lo stesso tipo di donna, nessuno si accorge che egli cambia amante; gli amici gli causano continui malintesi, perché non sono capaci di distinguere le sue amiche e le chiamano tutte con lo stesso nome.
Nella loro caccia alla conoscenza, i donnaioli epici (e a questa categoria appartiene ovviamente Tomàs) si allontanano sempre più dalla bellezza femminile convenzionale, della quale si stancano presto, e finiscono irrimediabilmente per diventare dei collezionisti di curiosità. Essi se ne rendono conto, ne provano un po’ di vergogna e, per non mettere gli amici in imbarazzo, non si mostrano in pubblico con le loro amanti.

[…]

Delle sue storie d’amore la sua memoria registrava soltanto il ripido e stretto cammino della conquista sessuale: la prima aggressione verbale, la prima carezza, la prima oscenità che lui aveva detto a lei e lei a lui, tutte le piccole perversioni alle quali lui l’aveva pian piano costretta, e quelle che lei aveva rifiutato. Tutto il resto veniva escluso (quasi con una sorta di pedanteria) dalla memoria. Dimenticava persino il posto dove aveva visto per la prima volta questa o quella donna, perché quell’istante precedeva l’offensiva sessuale vera e propria.
La ragazza parlava del temporale, sorridendo trasognata, e lui la guardava con stupore, quasi con vergogna: aveva vissuto qualcosa di bello e lui non l’aveva vissuto con lei. Nella doppia reazione della loro memoria al temporale notturno era contenuta tutta la differenza fra l’amore e il non-amore.
Con la parola non-amore non voglio dire che nei confronti di quella ragazza lui avesse un atteggiamento cinico, che in lei vedesse, come suol dirsi, solo un oggetto sessuale: al contrario, le voleva bene, apprezzava il suo carattere e la sua intelligenza, era pronto ad aiutarla ogni volta che lei ne avesse avuto bisogno. Non era lui a comportarsi male con lei; era la sua memoria che da sola, a sua insaputa, l’aveva esclusa dalla sfera dell'amore.
Si direbbe che nel cervello esista una regione del tutto particolare che si potrebbe chiamare memoria poetica e che registra ciò che ci affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita. Da quando lui ha conosciuto Tereza, nessuna donna ha il diritto di lasciare in quella parte del suo cervello foss’anche la più fuggevole impronta.
Tereza occupava come un despota la sua memoria poetica e ne spazzava via le tracce delle altre donne. Non era giusto, perché ad esempio la ragazza con la quale aveva fatto l’amore sul tappeto durante il temporale non era affatto meno degna di poesia di Tereza. Gli gridava: «Chiudi gli occhi, Stringimi i fianchi, tienimi stretta! »; non riusciva a sopportare che, mentre facevano l’amore, Tomàs tenesse gli occhi aperti, attenti e scrutatori, e che il suo corpo leggermente sollevato su di lei non aderisse alla sua pelle.
Non voleva che lui la studiasse. Voleva trascinarlo nel flusso dell’incantesimo dove non è possibile entrare se non con gli occhi chiusi. E appunto si rifiutava di mettersi carponi, perché in quella posizione i loro corpi non si sarebbero toccati affatto e lui avrebbe potuto vederla da una distanza di quasi mezzo metro. Lei odiava quella distanza. Voleva fondersi con lui. Per questo sosteneva testardamente, guardandolo negli occhi, di non aver goduto, anche se l’intero tappeto era umido del suo orgasmo: «Non cerco il godimento,» diceva «cerco la felicità, e il godimento senza felicità non è godimento ». In altre parole, lei batteva al cancello della sua memoria poetica. Ma il cancello era chiuso. Nella memoria poetica di Tomàs non c'era posto per lei. Per lei c’era posto solo sul tappeto.

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