martedì 28 agosto 2012

FRANCESCO PICCOLO - MOMENTI DI TRASCURABILE FELICITA'


E anche quando mi sveglio in un posto che non è casa mia, quell'attimo in cui non capisco ancora dove sono. E quando poi lo capisco.

Quando la donna con cui dormo ha capito che ognuno deve dormire dal suo lato. Che ci si può abbracciare prima, o quando ci svegliamo la mattina, ma quando si dorme bisogna stare ognuno per i fatti suoi. Dividendo il letto con la stessa meticolosità con cui si tracciava la linea di divisione del banco con il compagno di banco, a scuola.


E poi la mattina appena può, da quando c'è il primo timido accenno all'estate, senza bisogno di alzare gli occhi verso il cielo, ma soltanto sentendo un frammento di frase pronunciata da un passante, lei prende la macchina e se ne va al mare. A Maccarese. Abbandona il traffico per Fregene e s’infila sulla sinistra, e lo fa con una sterzata che vuol dire: ora vi frego tutti. Come se quelli che si fermano qui fossero più furbi. Non sono furbi per niente, però lo pensano. Sembra che questo luogo tra la campagna abbandonata e il mare sporco, cioè la spiaggia, sia fatto per persone speciali, ci sia più spazio che altrove. Poi finisce che è lo stesso, che davanti c'è il mare e non ci pensi nemmeno a farti il bagno, e alle spalle tra te e la campagna ci sono le cucine degli stabilimenti e tutto quello che conta sono le linguine ai frutti di mare o gli spaghetti alle vongole, e vedi che tutti stanno lí con le forchette in mano e avvolgono e avvolgono per ficcare tutto quanto in gola.
Lei invece arriva, stende il telo, si spoglia lasciando addosso un minuscolo tanga, si sdraia e prende il sole. Sta così, tutto il giorno. Qualche volta legge un libro, altre delle riviste dove dicono che due si sono lasciati e altri due forse stanno insieme; la maggior parte delle ore rimane sdraiata, in uno stato di dormiveglia. A volte mangia uno yogurt, a volte della frutta. Lei è di quelle che mangiano solo frutta, in estate. E quando lo dice sembra che voglia dire che sia una nota di merito, come se quelli che mangiano solo frutta fossero migliori di quelli che avvolgono e avvolgono gli spaghetti. Di solito, se ne sta cosi. Poi si alza, il più tardi possibile, rimette tutto a posto, si veste e torna in città. Questi sono i giorni buoni, quelli della solitudine, quando non c'è quasi nessuno e in ogni caso non ci sono quelli.
Quelli, sarebbero gli uomini che incontra. Che sono come in città, ma a Maccarese sono un po’ più scemi. Si siedono accanto, di solito, e se sono intimiditi chiedono da accendere, poi si curvano verso l'accendino avvolgendolo con le mani e alzano gli occhi all'improvviso, la guardano intensamente da così vicino, con gli occhi socchiusi per essere più affascinanti. Se lei non sapesse alla perfezione quando accade, farebbe un sussulto di spavento. Ma lo sa.
Hanno fisici statuari, spesso, alcuni più coraggiosi li hanno meno statuari ma ci provano lo stesso, cercando di trattenere la pancia in dentro. E soprattutto, cominciano a dire un sacco di cazzate. La cosa straordinaria è che lei li ascolta, gliene saranno capitati ormai a centinaia in tutti questi anni a Maccarese e li ha sempre ascoltati, tutti, fino in fondo. Alle volte si chiede anche se qualcuno di loro non sia già stato seduto accanto a lei anni prima, e adesso lo fa per la seconda volta e né lui né lei se ne ricordano. Sarà accaduto di sicuro, pensa. Li ascolta: risponde a monosillabi, ma è paziente. Non ce la farebbe mai a mandarli via. E allora ascolta e loro cominciano sempre a parlare del mare. Oggi il mare è proprio bello, è brutto è pulito è sporco è calmo è agitato; ieri era più bello, l'altro ieri era più calmo, venerdì era una giornata bellissima, si stava bene, faceva caldo e tirava vento, la sabbia mi piace più dei sassi, i sassi mi piacciono più della sabbia, conosco un posto dove ci sono sia i sassi sia la sabbia, starei tutto il giorno al sole, le creme abbronzanti e protettive numero quattro cinque sei sette e otto, c'era meno gente e c'era troppa gente.
Poi: oggi è proprio bello stare sulla spiaggia, dicono.
E lei lo sa che questa frase non è come le altre: ha più salivazione in gola e la voce instabile. E la prima deviazione verso un'intimità: a questo punto lei dovrebbe capire che oggi è proprio bello stare sulla spiaggia per il fatto che c'è lei. Lei non fa altro che dire: sì, oppure mmmh, oppure è vero. Perché tanto sa che continuano. Chiude gli occhi contro il sole, e ascolta. Il suo corpo è dorato, come se il sole avesse deciso di dedicarsi alla sua pelle e renderla di quel colore esatto che a lei piace. Lo sente caldo e sa di essere bella in quel modo speciale di quando ci si sente belli per qualche minuto. Ha un tanga colorato e i capezzoli duri. E sa che loro stanno guardando. Uno alla volta, negli anni, si sono seduti qui accanto e hanno detto su per giù le stesse cose, e mentre parlavano e parlano girano lo sguardo da un'altra parte, per esempio verso il mare o verso lo stabilimento o verso di qua o verso di là, e sempre, in qualsiasi posto guardino, sempre il loro sguardo passa per il suo seno, all'andata e al ritorno. Guardano. Riguardano. E fanno finta di non aver guardato. Anzi ora sfacciati dicono che vogliono farle solo un complimento e cioè che sta molto bene in topless, dicono la parola «topless» con convinzione, come se quella fosse la sola parola giusta, mentre lei si accartoccia le spalle come a proteggersi, per istinto, ma solo per un attimo. Continuano. Dicono che il topless è una cosa molto liberatoria, anche se loro non ci fanno nemmeno caso, dicono proprio così, hanno il coraggio di dire una cosa del genere facendo lo sguardo sufficiente e la voce molto appropriata, intelligente. Questi uomini sostengono che non sono certo i tipi che stanno sempre li a guardarti il seno, come fanno altri uomini - loro sono sempre uomini migliori degli altri uomini e però intanto continuano a guardare il mare e lo stabilimento fermandosi all'andata e al ritorno sul suo seno; per loro è una cosa naturale, dicono, e alcuni sono arrivati anche a dire: come stiamo noi uomini solo con la parte di sotto, perché non dovete starci anche voi? E poi, dicono, l'abbronzatura al seno è bella, è brutto vedere una donna con quei segni bianchi, non sei d'accordo?
Lei risponde: si, oppure mmmh, oppure è vero.
Sa che è molto probabile che le loro donne, quelle che non sono qui, se soltanto ci provano a mettersi in topless su una spiaggia deserta, a questi uomini viene una crisi epilettica. Urlano che non capiscono perché bisogna mostrarsi nude e che importanza possano mai avere i segni bianchi. E non stanno litigando per il topless, ci mancherebbe, loro non sono certo i tipi e chiunque ha il diritto di fare ciò che vuole, sia chiaro. Ma è il concetto. Urlano: «è il concetto, capisci?» Però le loro donne, che non sono qui oggi ma sono da qualche altra parte ed è come se non esistessero - le loro donne non capiscono.
Lei sa anche cosa succederebbe se la smettesse di rispondere si, oppure mmmh, oppure è vero. Direbbe delle cose anche lei, delle frasi su un argomento qualsiasi, e loro direbbero prestissimo, troppo presto, che lei è molto intelligente e molto sensibile, e lo direbbero come se fossero sorpresi. Sa che se si lasciasse andare, se finisse per baciarli e per farci l'amore direbbero che lei è veramente eccezionale, una donna vera. Lasciando intendere che invece le loro donne non sono come lei, e questo sarebbe un modo per farle un complimento e anche per dirle che appunto loro hanno una donna. Che non c'è mai, che non appare, di cui non c'è traccia e nessun segno, fino a quando non lo dicono. Poi però lo dicono e poi dicono che forse è giunto il momento di scegliere. E lei sa che, poiché dicono che è intelligente, sensibile, eccezionale e una donna vera, dovrebbero scegliere lei. Ma sa anche che invece sceglieranno l'altra, e diranno che non la dimenticheranno mai, che però doveva finire, le cose più belle sono quelle che finiscono. In pratica intenderanno dirle che non scelgono lei proprio perché è intelligente, sensibile, eccezionale e una donna vera.
Sa tutto, lei. Forse perché ogni tanto apre gli occhi e li guarda e invece di scoppiare a ridere dice a se stessa: va bene. E comincia a parlare. Forse perché lo ha sempre saputo, fin dal primo giorno in cui è venuta a Maccarese e si è stesa sul telo per prendere il sole. Forse a Maccarese c'è venuta apposta per questo, per ascoltare un'enorme quantità di uomini per tutta la vita dire più o meno le stesse cose, tutte stupide, e ogni tanto scegliere senza criterio di andare via con loro e poi di smet­terla, perché le cose belle sono quelle che finiscono. Forse lo fa perché lascino in pace le altre, tutte quelle altre stese sui teli di Maccarese e anche le altre stese sui teli di Fregene, e quelle stese sui teli di tutto il litorale. E anche quelle che non sono stese sui teli, e quelle che non sono venute al mare, oggi, quelle che stanno sedute davanti a un bar o passeggiano per la città. Quelle che stanno per uscire. Sa che per tutte potrebbe bastarne una, e c’è lei. Per questo nella voce di quei si, oppure mmmh, oppure è vero, mette un tono controllato e morbido; per non farli sentire ridicoli.

Quando esci dal cinema e piove. E rimani con altri spettatori ad aspettare, senti cosa dicono del film. E poi c'è chi vuole provarci ad andare, che fa se ci bagniamo un po'; e va, correndo con la testa stretta nelle spalle. Chi dice aspettiamo, tra poco smette. Chi dice: ora piove meno (e non è vero); e va. Così un po' alla volta, correndo se ne vanno tutti.

Ogni tanto mi sono appartato, e ho cominciato a spedire sms in quella formula inventata apposta alla nascita di questa forma di comunicazione, e cioè un frullato di ambiguità, sfacciataggine e pudore abilmente miscelati in modo tale che riesci a mandare sempre dei messaggi fortemente allusivi che potrebbero essere letti anche in modo per niente allusivo, e a seconda della risposta si arriva in fondo a una strada o all’altra, in fondo a «voglio scoparti adesso gridandoti puttana» oppure «ci sentiamo presto, saluta tutta la famiglia»; tutt’e due partendo dallo stesso messaggio ambiguo-sfacciato-pudico.
L’altra caratteristica miracolosa degli sms è che puoi ignorarli completamente quando poi hai una conversazione telefonica con la persona con cui hai scambiato gli sms un minuto prima o il giorno prima, e riesci a fare telefonate lunghe senza che mai si accenni e si sfiori l’ambiguità o l’intimità, come se le due persone che si sono mandate sms molto azzardati un minuto prima fossero dei fratelli gemelli che in realtà non c’entrano nulla con noi che stiamo parlando di cosa fai quest’estate e come va il lavoro - almeno fino a quando riagganciamo e dopo venti secondi di nuovo spedisci o ti arriva un sms di tono completamente diverso rispetto alla telefonata appena conclusa, come se le telefonate fossero le parole e gli sms i pensieri che ci sono dietro, però i pensieri di un’anima profondamente cattolica che li pensa ma non li pensa fino in fondo, li diluisce in un’ambiguità giustificatoria, che rende pudichi e più rende pudichi più fa montare la sfacciataggine e da lì in poi gli ingredienti del frullato sono pronti sul tavolo.
A volte ho tenuto in piedi, soltanto con la tecnica degli sms, almeno quattro-cinque possibilità in contemporanea, per vedere come andavano a finire.

Quelle volte in cui mi sono svegliato in piena notte, e ho guardato chi dorme sempre accanto a me, con la complicità delle ore buie, che rendono sopra le righe tutti i sentimenti e le preoccupazioni, le paure, le angosce e il senso profondo della vita. E mi sono chiesto, intanto che osservavo il torace gonfiarsi e sgonfiarsi in modo regolare: chi è questo essere umano a cui sto concedendo il mio amore, le mie giornate, tutti questi anni e anche il mio futuro? E’ l’essere speciale che mi sembra di aver intuito, o è un mostro che mi sembra di temere?
E poi mi sono girato dall’altra parte e mi sono rimesso a dormire, sollevato.

Uso «infatti» molte volte, perché è la parola che viene fuori dalle mie corde vocali, in modo del tutto autonomo, quando sono imbarazzato.
Anche quando qualcuno mi dice: «ho letto il tuo libro, è un capolavoro».
Infatti, dico. Perché non so cosa dire. E mi rendo conto che sto confermando che è un capolavoro, ma non riesco a dire un’altra cosa, anche se sto pensando: non devo dire infatti.
«Ho letto il tuo libro, fa veramente schifo».
Infatti, dico. E mi rendo conto che sto dicendo che anch’io penso che il mio libro faccia schifo.
Una volta, è successo che ho detto infatti quando una donna mi ha detto: ti amo.

La tua vita è concepita in questo modo: fai qualsiasi cosa per cui non bisogna fare la fila. Non fai qualsiasi cosa per cui bisogna fare la fila. Non vai in banca o alla posta, ringrazi il genere umano che ha inventato quel modulo che si chiama RID e che ti permette di far pagare tutto dalla tua banca elettronica. Non vai mai a vedere le mostre alle Scuderie del Quirinale, perché alle Scuderie del Quirinale ci sono sempre le file, e hai pure smesso di chiederti perché. Non vai fuori nei weekend, non vai ai concerti perché alla prevendita c'è la fila fin dal mattino. O meglio, tutte queste cose potresti anche farle se qualcun altro si prendesse l'impegno di fare le file al posto tuo. Altrimenti, lasci perdere. E non fa niente.
Se al supermercato arrivi alla cassa e c’è la fila, aspetti in modo furtivo che nessuno ti guardi e abbandoni il tuo carrello li e scappi via - avendo l'accortezza di tirare fuori il latte e qualsiasi altra cosa hai prelevato dal banco frigo e di abbandonarla tra le bibite energetiche dell'ultimo banco frigo, quello più vicino all'uscita. I commessi si incazzeranno, ma almeno hai salvaguardato l'integrità del prodotto. Ti fermi ogni volta a una certa distanza, osservi e studi la fila, come se volessi valutare se è troppo lunga o dura poco, e qualsiasi fila ti sembra alla fine sempre troppo lunga. Ti giri verso chi sta con te e dici, sempre: c'è la fila. E te ne vai.
Se vai in giro con lo scooter hai un obiettivo preciso e sacrosanto: quando il semaforo è rosso, vuoi stare davanti a tutti. Non t'importa se la strada è congestionata dal traffico, se rischi di colpire uno specchietto retrovisore o di segnare per sempre con una striscia colorata una macchina. E non t'importa se ti guardano male, se devono fare una piccola retromarcia per farti passare o stare in tensione mentre avanzi piano tra due auto vicinissime e sei sicuro che ce la puoi fare. Non t’importa. Il tuo unico obiettivo è arrivare davanti a tutti, in prima fila, accanto ad altri scooter prepotenti e decisi come il tuo, orgogliosi e presuntuosi come il tuo - in prima fila, quasi sulle strisce pedonali, davanti a tutti. A rischio di non vedere più il semaforo, quando scatta il verde. Tanto suoneranno il clacson, tutti, e tu partirai. Per primo, o tra i primi. Davanti a te solo moto come la tua. Le auto, tutte dietro.
Quando ti guardano male, gli automobilisti, ricambi lo sguardo tenendolo gelido, sicuro. E poi fai segno di abbassare il vetro del finestrino, con gentilezza.
Quando lo fanno, dici: se volevo fare la fila, mi compravo la macchina.
Di solito capiscono cosa vuoi dire. Per quelli che non capiscono, provi tenerezza. Allora avresti voglia di seguire il percorso che fanno ogni giorno, studiarlo, e poi aspettare una giornata di pioggia. Quando arriva, sotto la pioggia li seguiresti e al primo semaforo rosso li affiancheresti. Non chiedi di abbassare il vetro, non ce n'è bisogno; basta semplicemente che ti guardino. Loro beati nella macchina chiusa, al riparo; tu con gli occhi strizzati e i muscoli rattrappiti che sopporti la pioggia. Hai voglia che siano contenti, hai voglia che pensino: cosi impari.
Non porti tua figlia allo zoo anche se si dispera e urla piangendo. Semplicemente le indichi la fila all'ingresso e dici: c'è la fila. Lei si dispera ma in cuor suo sa che non otterrà nulla, anche lei ha imparato ormai che le file non si possono fare. Forse si chiederà perché altri le fanno, forse invidierà i figli degli altri padri, vorrebbe essere uno di loro, intuirà che questo è il destino, nascere nella casa di un padre che le file le fa o nascere nella casa di un padre che le file non le fa. Ma non per questo otterrà che tu faccia la fila. Nella sua famiglia la fila non si fa, e quindi sta imparando a guardarla da lontano e a pensare a una scelta alternativa.
Poi, arriva questa donna, che a te sembra una ragazza, e già questo non va bene. Nessuno più dovrebbe sembrarti una ragazza, soltanto le ragazze. Arriva la ragazza e tu capisci che le tue certezze vacillano, e non sei contento. Ma non ci puoi fare niente. Sai che sentirà freddo la sera sullo scooter, che vuole andare al mare la domenica, che ti chiederà di andare a fare la spesa. Sai che ti dirà che la fila scorre, dirà sempre che anche se è lunga, scorre; che non perderete tempo, che devi essere paziente, che devi fidarti di lei, che sei insofferente, che devi prendere la vita con più leggerezza. Che se vi mettete in fila, intanto parlate e non ve ne accorgete. Lo capisci che ha tutta l'intenzione di affidarsi a te. Tutte cose che nella sostanza vogliono dire che devi fare le file. Lo capisci che forse lei, inconsciamente, non vuole fare le file ma vuole che le faccia tu al posto suo. E capisci che da qualche parte della tua vita interiore, arriva il segnale che potresti cedere. Che potresti dire: e vabbé proviamoci. Che potresti allora cominciare a fare le file perché scorrono, a prendere la macchina perché fa freddo. Potresti perfino fare la spesa al supermercato e prendere il numeretto al banco dei salumi e non buttarlo via perché è il numero 96 e stanno servendo il 63, ma aspettare, occupare il tempo facendo qualcos'altro. O non facendo nient'altro, tenendo la testa alta per guardare lo scorrere dei numeri sul display, calcolandone la velocità e misurando il tempo che ti rimane se la velocità media è quella.
Potrebbe costringerti a pensare, un giorno, quando valuti se la fila è troppo lunga o dura poco, che dura poco. E che puoi farla. Potrebbe costringerti senza troppo sforzo, perché è più forte di te. Potrebbe perfino esserci nella vostra vita una scena in cui voi due siete in macchina in fila al semaforo e una moto sta cercando di passare tra la vostra macchina e un'altra, e tu sei sicuro che striscerà la carrozzeria della tua macchina solo per arrivare li davanti a tutti. E se tu guarderai il motociclista nel modo in cui lo guarderai, lui potrebbe anche farti segno di abbassare il vetro e a quel punto saprai cosa vorrà dirti.
E in quel momento tu vedrai che tra il semaforo rosso, la striscia - mettiamo - rossa sulla tua carrozzeria e il vestito - mettiamo - rosso della ragazza, ci sarà una corrispondenza eccessiva, e le corrispondenze eccessive equivalgono a un destino, al quale ti sembrerà inutile sfuggire. Se tua figlia ha avuto il destino di un padre che non fa la fila, tu avrai il destino di una compagna che ti chiederà di fare la fila. E tutto sarà di nuovo bilanciato. Perfetto. Del resto, altrimenti perché la donna sarebbe apparsa un giorno lì per te; perché ti sarebbe sembrata una ragazza; è cosi bella che non devi fare niente per innamorarti, sei già innamorato, anzi non c'è bisogno che ti innamori, sei già oltre quel momento. Sei già a casa, se vuoi. Più precisamente, se lei vuole.
Allora lasci che il destino, se è il destino, ti prenda. Vai verso la ragazza. Ma la ragazza è bella, cosi bella, che non ci vai solo tu. Già altri, mentre la guardavi, sono andati. Hanno perso meno tempo con le corrispondenze eccessive e le ipotesi ossessive. Insomma, non è che tecnicamente si chiama così, però per te quella è una fila. Nella sostanza. E resta soltanto da capire se è troppo lunga. O se scorre.

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