sabato 14 gennaio 2012

UMBERTO GALIMBERTI - LE COSE DELL’AMORE


Amore e desiderio
[…] Tutti, chi più chi meno, abbiamo esperienza del fatto che l’amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.
L’amore svanisce perché nulla nel tempo rimane uguale a se stesso, specialmente quando si ha a che fare con le persone che la vita costringe a un inarrestabile cambiamento. Ma non è il cambiamento a degradare l’amore, siamo piuttosto noi a fare di tutto per degradarlo. E ci sono ottime ragioni per cui siamo interessati a questo degrado. La prima ragione è l’”impotenza psichica” di cui parla Freud a proposito dell'autolimitazione che noi operiamo della nostra capacità di desiderare e di sostenere il desiderio, per cui, scrive Freud: “Dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo proviamo non possiamo amare”.
Privo di desiderio, l’amore garantisce tenerezza, intimità, sicurezza, ma non prevede l’avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione. Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, eccitante, vibrante, ma non ha l’intensità e il senso di un’elevata posta in gioco che rendono profonda la relazione. Non ci è dato, se non per brevi attimi, di fare esperienza nello stesso tempo dell’amore e del desiderio verso la stessa persona. E questo perché l’amore, che nasce sotto il segno della stabilità e dell’eternità, vuole ciò che il desiderio rifiuta.
[…] Ignorando il reciproco scambio sempre sotteso a ogni relazione d’amore, il desiderio conosce solo il furto e il dono. Per questo l’amore, che cerca sicurezza e stabilità, tende a spegnere i desideri che teme come il suo negativo più profondo, o a deviarli nella finzione dell'immaginario, come si deviano le forze temute di un fiume, scavandogli un letto artificiale o derivandone mille rigagnoli che si disperdono nella terra.
Di qui il successo dell’amore on line. La fantasia di scatenare il proprio desiderio con una persona che non c’è o non è accessibile, con l’estraneo misterioso, offre non solo la possibilità di esplorare il proibito e il precario, ma anche l’opportunità di fantasticare sul proibito e sul precario da un luogo più sicuro rispetto alle nostre relazioni reali, nelle quali non intendiamo permettere a noi stessi di destabilizzarci.
E così, per ridurre il rischio, separiamo la stabilità, a cui l’amore tende, dall’avventura che il desiderio agogna. E quando dico “avventura” non alludo a qualcosa di banale, ma a quel tratto che fa di un uomo un uomo che, a differenza dell’animale, è sempre proteso oltre di sé, in quella dimensione di cui si alimenta anche la cultura cristiana quando parla di “trascendenza”, di “oltrepassamento” di ciò che ci è semplicemente dato. Il desiderio è trascendenza.
[…] Come conciliare il bisogno di sicurezza e il desiderio di avventura? Come comporre la lacerazione di queste due istanze così profondamente radicate nel profondo della natura umana? Una strada ci sarebbe, ed è quella di accorgersi e di accettare il cambiamento continuo a cui ogni abitante della casa va soggetto nel corso della sua vita giorno dopo giorno. Un cambiamento che riconfigura la quotidianità, sbilancia la familiarità, infrange le abitudini, rende insolito e nuovo il tempo.
Quanto infatti è conoscibile e prevedibile un’altra persona? Quanto siamo prevedibili e conoscibili noi stessi? Non è che la prevedibilità, la conoscibilità, la quotidianità, la familiarità, l’abitudine sono i prodotti della nostra disattenzione all’altro, o addirittura strumenti che noi usiamo per spegnere la curiosità e la passione, che sono gli ingredienti del desiderio, allo scopo di garantirci la sicurezza? In fondo l’amore senza passione è noioso, ma sicuro.
Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza? Quanti cambiamenti dell’altro ignoriamo per garantirci un partner prevedibile? L’abitudine uccide il desiderio. E siccome in qualche modo lo sappiamo, non è raro che trasformiamo in abitudini le persone che amiamo, e attraverso questa degenerazione protettiva ci garantiamo la sicurezza della casa, e ci difendiamo dalla vulnerabilità intrinseca dell’amore.
Se ci persuadiamo che l’esperienza umana è per natura mutevole e ciascuno di noi va incontro a un cambiamento continuo, allora diciamo che la sicurezza è una nostra fantasia che cerchiamo di realizzare immobilizzando l’altro in un nostro schema, mentre l’avventura che promuove il desiderio è la realtà. Ma per il timore che l’avventura ci destabilizzi non la ospitiamo in casa, al massimo le concediamo fuori casa il tempo di una notte. Troppo poco per rispondere allo spirito d’avventura, di novità e di cambiamento che caratterizza l’uomo e il suo lacerato modo di amare.

[...]

Amore e idealizzazione
[...] Agli innamorati che idealizzano la persona amata, la psicoanalisi ricorda che l’idealizzazione è una regressione infantile, perché trasferisce sulla persona amata quel senso di unicità che da bambini attribuivamo ai nostri genitori, quando li sopravvalutavamo perché da loro dipendeva la nostra vita e ancora non avevamo visto le loro ombre.
Se l’idealizzazione dei genitori è utile ai bambini perché crea in loro quella fiducia di base necessaria per crescere con un minimo di rispetto di sé, è terribilmente pericolosa quando ci si innamora, perché gli ideali si appannano facilmente, gli incantesimi si spezzano, gli effetti magici si dissolvono, i trucchi prima o poi vengono a galla. Dopo la prima notte di passione trascorsa insieme Romeo e Giulietta temono la luce, perché l’aspra luce del mattino dissipa, il giorno dopo, l’incanto del chiaro di luna.
Fin qui le parole della psicoanalisi, ma il suo discorso all’insegna del “sano realismo” prosegue avvertendoci che l’idealizzazione ci impoverisce, perché tutto ciò che ha valore è collocato nell’altro. E se l’altro non cambia l’idealizzazione di cui è stato investito, se quanto abbiamo trasferito in lui non ritorna, allora o siamo capaci di rompere l’incantesimo e vedere l’altro in una prospettiva più sobria e realistica, o precipitiamo nel rifiuto di noi stessi, svuotati come siamo di ogni nostro valore che nell’idealizzazione abbiamo attribuito all’altro.
E allora se non è suicidio è inconsolabile depressione. Idealizzando l’altro, ci siamo svalutati e staccati dalla realtà. E siccome la nostra stabilità dipende dalla valutazione ac-curata del reale, innamorarsi idealizzando, come suggeriscono la canzone di Rita Pavone e il saggio di Giovanni Gentile, per la psicoanalisi è molto pericoloso.
Pericoloso, ma inevitabile. Perché il desiderio non si attiva senza idealizzazione, senza immaginare nell’altro quelle qualità che lo rendono unico, speciale, straordinario. Freud credeva che la fantasia fosse opposta alla realtà e la oscurasse, e che l’'immaginazione, che arricchisce la realtà e non di rado la inventa, fosse nemica della percezione che invece la riproduce fedelmente.
Ma dopo Freud, la fenomenologia, e in particolare Merleau-Ponty, ci hanno fatto constatare che l’immaginazione e la fantasia, di cui l’idealizzazione amorosa è una figura, influenzano la nostra percezione della realtà, per cui ciascuno vede le cose a modo suo affacciandosi dalla finestra del proprio castello di sabbia preferito. E questo perché la percezione della realtà non è qualcosa di passivo, ma una costruzione attiva, dove l’immaginazione, la fantasia, il desiderio intervengono a trasfigurare i dati di realtà, affinché questi possano assumere un senso per noi.
Da questo punto di vista l’oggettività è un ideale impossibile, è il desiderio di pervenire a una sicurezza che non sarà mai raggiunta. Forse anche nelle vicende d’amore vale il principio formulato dal fisico Werner Heisenberg secondo cui le condizioni in cui si attua un’osservazione modificano l’osservato. Infatti quel che si scopre di un’altra persona dipende in gran parte da chi noi siamo e da come l’avviciniamo.

[...]

Amore e tradimento
[...] Riconoscendo il tradimento e passando oltre, il perdono toglie all'amore il suo aspetto più infantile, che è l'ingenuità e l'incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Del resto, scrive Hillman:
Senza l’esperienza del tradimento, né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà. Il tradimento è il lato oscuro dell’una e dell'altro, ciò che conferisce loro significato, ciò che li rende possibili.
Ma si può davvero perdonare, se è vero che l’Io si mantiene vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio, al suo senso dell’onore? Anche quando vorremmo sinceramente perdonare, scopriamo che proprio non riusciamo, perché il perdono non viene dall’Io. E allora forse, meglio del perdono, che probabilmente è pratica insincera, a me sembra più costruttivo percorrere il sentiero del reciproco riconoscimento, dove chi ha tradito deve reggere la tensione senza cercare di rappezzare la situazione e, con brutalità cosciente, deve al limite rifiutare di rendere conto di sé.
Il rifiuto di spiegare significa da un lato non misconoscere il tradimento ma lasciarlo intatto nella sua cruda realtà, e dall’altro che la spiegazione deve venire sempre dalla parte offesa. Del resto chi, dopo essere stato tradito, sarebbe in grado di ascoltare le spiegazioni dell’altro?
Lo stimolo creativo presente nel tradimento dà i suoi frutti solo se è l’individuo tradito a fare un passo avanti, dandosi da sé una spiegazione dell’accaduto. Ma per questo è necessario che il traditore non giustifichi il suo tradimento, non tenti di attenuarlo con spiegazioni razionali, perché questa elusione di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le offese, la più bruciante per il tradito, e allora il tradimento continua, anzi si accentua.
Siccome i due sono ancora legati in un rapporto nei nuovi ruoli di traditore e di tradito, possono soccorrersi solo se il traditore non attenua la crudeltà del tradimento e, riconoscendolo senza ammorbidirlo con false giustificazioni, consente all’altro di trovare da sé la spiegazione, e così di passare dalla beata innocenza della fiducia originaria, dove mai neanche lontanamente si profilava il male, a quella coscienza adulta, la quale sa che il bene e il male sono inanellati, il piacere si intreccia con il dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del giorno con il buio della notte, perché tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate e insieme tradite, senza una visibile distinzione, perché l’abisso dell’anima, che tutte le sottende, vuole che così si ami il mondo.
[…] Perché l’amore è una relazione, non una fusione. Se infatti non esistessimo come individualità autonome, non solo non potremmo incontrare l’altro e metterci in relazione, ma non avremmo neppure nulla da raccontare all’altro fuso simbioticamente con noi.
Come dice Gabriella Turnaturi nel suo libro Tradimenti, quando lei o lui iniziano un viaggio fuori dal “noi”, e che prescinde dal “noi”, solo per le attese sociali, solo per i precetti religiosi tradiscono, mentre in realtà salvano la loro individualità dall’abbraccio mortale del “noi” che non emancipa, non consente né crescite né arricchimenti, e neppure parole da scambiare che non siano già dette o già sapute prima che siano pronunciate.
Tutto questo per dire che l’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, né alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio della sicurezza. Siamo in due, non sappiamo più chi siamo, ma siamo insieme ad affrontare il mondo. Due esistenze negate, ma tutelate.
Amore è cosa intricata, perché sempre ci si confonde e non ci si chiarisce se si ama l’altro o si ama la relazione, se si soddisfa il nostro bisogno di sicurezza o il nostro bisogno di felicità. Oppure si vuole la felicità, ma non i suoi costi; e in alternativa si vuole la sicurezza, ma non la sua noia. Amore è un gioco di forze dove si decide a quale dio offrire la propria vita: al dio della felicità che sempre accompagna la realizzazione di sé, o al dio della sicurezza che molto spesso si affianca alla negazione di sé.
Una cosa è certa: che nella relazione, nel “noi” non ci si può seppellire come in una tomba. Ogni tanto bisogna uscire, se non altro per sapere chi siamo senza di lei o di lui. Solo gli altri, infatti, ci raccontano le parti sconosciute di noi. Gli altri, se li lasciamo parlare, senza soffocarli con il nostro bisogno di conferme che di solito, sbagliando, siamo soliti chiamare bisogno d’amore.
[…] C’è infatti in ogni amore, da quello dei genitori a quello dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all’interno di quel recinto che è l’amore che non dobbiamo tradire. Ma in ogni amore che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra.

[...]

Amore e linguaggio
[…] La sensibilità per le sfumature aumenta il gioco dei silenzi e dei rinvii che vogliono verificare la sincerità della passione. E perciò, nella donna, amore è costretto ad agire in incognito, perché, dopo la concessione dei primi favori, di fronte a una richiesta più esplicita la donna non può più mostrarsi sorpresa o ignorare che il seduttore ha fatto assegnamento su quelle parole e su quei comportamenti che hanno superato, anche se di poco, il limite segnato dai giochi di società.
L’uomo può invece giocare a carte più scoperte e ricorrere persino a quei miserabili tentativi di “far colpo”, presentando i propri pregi nella miglior luce possibile senza neppure sospettare che le donne sono refrattarie a ogni forma di millanteria, perché sono per natura realiste.
C’è poi chi rinuncia subito alla millanteria, soprattutto quando non ha nulla da millantare, per indossare i panni dell’incompreso con massiccia ostentazione di sofferenza e solitudine. Questa strategia, che già di per sé non favorisce l’incontro, dopo il fallimento ha come premio di consolazione che “dopo” ci si può convincere di essere davvero incompresi. Sia i millantatori sia gli incompresi non hanno ancora capito che in amore i frutti maturi cadono spontaneamente senza dover scuotere l’albero.
Quanto poi a raccoglierli, bisogna averlo deciso con un certo anticipo perché le regole della passione non si lasciano violare impunemente. Esse conoscono la legge del tutto/nulla, quindi castità o lussuria, mai la via di mezzo, perché quando ci si arresta dopo essere arrivati là dove non si voleva arrivare, ormai è troppo tardi, a meno che non si abbia la vocazione dell’animale da preda che si aggira perennemente inquieto tra le sbarre di una gabbia.

1 commento:

  1. analisi molto interessante e chiara che aiuta a comprendere aspetti a volte non considerati

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