giovedì 4 luglio 2013

ALESSANDRO BARICCO - UNA CERTA IDEA DI MONDO

L’altra cosa è che American Dust fa molto ridere, ma veramente molto e in un modo che solo chi legge libri conosce: ridi dentro. Da fuori credo che non si veda proprio niente. Ma dentro ridi moltissimo. Se ci pensate è una cosa che esiste solo nella lettura. Voglio dire, quando si è in mezzo alla gente è il contrario: ridi fuori anche quando non è proprio che ti stai divertendo, lo fai per gentilezza, o anche solo per rispettare un codice. Non è che vai a una cena e poi passi il tempo a ridere dentro. Ma quando leggi lo fai, se chi scrive è bravo. Deve essere abbastanza spiritoso per farti ridere dentro ma poi sapersi fermare un attimo prima di farti sbottare a ridere fuori.

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In generale penso che la ragione per cui vai avanti a leggere, nei libri, non dovrebbe essere che vuoi arrivare in qualche posto, ma che vuoi rimanere in quel posto lì. Non ho letto Il Giovane Holden o Cent’anni di solitudine per sapere come andavano a finire: mi andava di stare in quella luce, o leggerezza, o precisione, o follia, più tempo possibile. È un paesaggio, la scrittura, non va a finire da nessuna parte, è lì e basta. Respirarlo è quello che si può fare. E la trama?, dice. La trama non conta niente? Certo che conta per carità, dei libri che non raccontavano niente ci siamo liberati anni fa, per favore non torniamo indietro. Però immaginate di stare seduti su una sedia a dondolo a godervi un paesaggio, nell’aria pulita del mattino. Ora provate per un attimo a smettere di dondolarvi. Non è la stessa cosa vero? La trama, in un bel libro, è il dondolio della sedia. E' il vento che ridisegna l’erba di quel campo, il passare delle nuvole che saltuariamente cala ombre passeggere sui colori. Forse quel volo d’uccello, e in alcuni casi il rumore di un treno che passa lontano. La trama è quel che si muove nel paesaggio della scrittura, rendendola vivente. È l’increspatura sul pelo dell’acqua: è così importante che, in modo impreciso, la chiamiamo mare.

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Mah. Io intanto non credo sinceramente che si viva con quattro cifre dopo la virgola. Siamo macchine più approssimative. In un istante della nostra vita non passano mai tutte le cose che ci vedono gli scrittori come McEwan. Sono convinto che se viviamo un decimale è già tanto: il resto è un infinito evanescente che solo gli psicanalisti e certi scrittori inglesi reputano loro compito ricondurre a una certa, definitiva, chiarezza.

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