domenica 23 febbraio 2014

DIEGO DE SILVA - SONO CONTRARIO ALLE EMOZIONI


Viola dice.
Mentre dal letto la guardavo rivestirsi pensavo che, a differenza della maggior parte delle donne che ho conosciuto intimamente, Viola è davvero bella. Nel senso che non ti delude a distanza ravvicinata, come quasi tutti gli esseri umani, essendo indubitabile che piú o meno chiunque, quando te lo trovi a tanto cosí da te, perde qualcosa.
Viola no, Viola è bella sempre e in ogni condizione di luce, vestita e nuda, truccata e struccata, vicina e lontana. È bella quando cammina, quando gesticola, quando si siede, quando mangia e beve, quando esala dalla bocca il fumo della sigaretta che ha appena aspirato con quella sua tipica smorfia leggermente sofferta, quando ride e s’imbroncia, quando si accorge d’essere osservata e quando non lo sa.
Questa contemplazione mi ha un po’ commosso (mi autocommuovo abbastanza facilmente, non so se s’è capito), cosí ho intonato il suo nome in modalità patetica mentre si pettinava furiosamente i capelli all’indietro con le dita.
Lei ha interrotto all’istante la manovra per voltarsi verso di me e dedicarmi la sua completa attenzione: gesto che mi ha fulmineamente ricordato una scena di Jurassic Park 3, in cui uno pterodattilo ruota il capo in direzione di Sam Neill e William H. Macy che si trovano a pochi metri di distanza, li guarda incuriosito e sembra che pensi: «Ehi, quasi quasi me li mangio».
Ho dato due pacche consecutive al posto vuoto accanto al mio.
– Vieni qua, – le ho dolcemente ordinato.
Ha ubbidito ma non si è seduta dove le avevo detto: s’è sfilata le ballerine usando gli alluci come perno, quindi m’è montata addosso con tutti i jeans e mi ha dato una nasata sul naso.
– Niente repliche, devo andare.
Le ho preso la faccia nelle mani e le ho schiacciato le guance una contro l’altra, come si fa coi bambini quando si ha voglia di testarne l’elasticità.
– Sei bellissima, – ho detto.
S’è tolta le mie mani dalla faccia come avrebbe fatto con gli auricolari dell’iPod.
– D’aaaccordo. Però mo’ basta.
– Perché?
S’è alzata.
– Mi sposo, ricordi?
– Devi proprio?
– Aah, ma ti prego.
– Ehi, scherzavo.
– Sai qual è il tuo problema?
«Oh Dio santo, anche tu», ho pensato.
– No, quale?
– Prendi il sesso in maniera troppo drammatica.
«Vero», ho pensato.
– Eh? – ho detto.
– Rilassati. È stato bello, no? Non devi attaccarci per forza l’idea di un destino.
Mi sono tirato su per mettermi a sedere. Avessi avuto un taccuino me la sarei segnata, quella. Per divertirmi a cancellarla furiosamente alla prima occasione.
– Senti, – ha detto Viola tornando alla carica, presa da un’incontenibile voglia di completezza, – adesso te la dico tutta. Io Giulio lo amo, sul serio. Cioè, perché non dovrei amarlo. Ma so benissimo che tra tre o quattro anni ci saremo rotti i coglioni di averci fra i piedi, e faremo un figlio prima di dichiarare fallimento. È l’accordo che tiene insieme le coppie da che mondo è mondo, e funziona perché non ci si dice come stanno le cose. Con te questo accordo non posso farlo, perché quando ci siamo conosciuti tu eri impegnato e io pure. Per quello siamo stati insieme, no? Quindi, che tu voglia ammetterlo o no, sappiamo come va a finire. Ci siamo detti la verità, io e te. Ecco perché siamo ancora qui, possiamo parlarci e fare anche altro.
– Ma siamo soli.
Ha alzato gli occhi al cielo e poi ha sbuffato.
– Mado’, quando ti autocommiseri sei insopportabile.
Stavo per dire qualcosa quando mi sono sentito la sua mano sul pacco.
– Sta’ zitto, adesso.
Figuriamoci se parlavo.
S’è tirata i capelli indietro, poi ha chinato la testa.
Se c’è una cosa davvero ammirevole in Viola, è il suo talento per la caduta di tono.
Quando piú tardi sono rimasto solo a crogiolarmi nei postumi della consolazione, m’è tornata in mente una cosa che mi ha fatto sganasciare dal ridere come se fosse successa il giorno prima.

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