martedì 10 gennaio 2012

MURIEL BARBERY - L’ELEGANZA DEL RICCIO


Se nella scala sociale si salisse in funzione della propria incompetenza, vi garantisco che il mondo non girerebbe come gira oggi. Ma il problema non sta qui. Il significato di questa frase non è che gli incompetenti hanno un posto in prima fila, ma che non c’è niente di più duro e ingiusto della realtà umana: gli uomini vivono in un mondo dove sono le parole e non le azioni ad avere il potere, ove la massima competenza è il controllo del linguaggio. È una cosa terribile, perché in definitiva siamo soltanto dei primati programmati per magiare, dormire, riprodurci, conquistare e rendere sicuro il nostro territorio, e quelli più tagliati per queste cose, i più animaleschi tra noi, si fanno sempre fregare dagli altri, cioè da quelli che parlano bene ma che non saprebbero difendere il proprio giardino, portare a casa un coniglio per cena o procreare come si deve. Gli uomini vivono in un mondo in cui sono i deboli a dominare. È un terribile oltraggio alla nostra natura animale, una specie di perversione, di contraddizione profonda.


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Quando siamo partiti, dopo aver abbracciato la nonna e averle promesso di tornare presto, mia sorella ha detto: «Beh, la nonna mi sembra sistemata bene. Per il resto… affrettiamoci a dimenticare tutto velocemente». Non sottilizziamo sull’”affrettiamoci velocemente”, sarebbe meschino, concentriamoci piuttosto sull’idea: dimenticare tutto velocemente.
È al contrario, non bisogna affatto dimenticare. Non bisogna dimenticare i vecchi con i corpi putrefatti, i vecchi vicinissimi a quella morte a cui i giovani non vogliono pensare (e così affidano alla casa di riposo il compito di accompagnare i genitori alla morte per evitare scenate o seccature), la gioia inesistente di quelle ultime ore che bisognerebbe gustare fino in fondo, e che invece subisci rimuginando nella noia e nell’amarezza. Non bisogna dimenticare che il corpo deperisce, che gli amici muoiono, che tutti ti dimenticano e che la fine è solitudine. E neppure bisogna dimenticare che quei vecchi sono stati giovani, che il tempo di una vita è irrisorio, che un giorno hai vent’anni e il giorno dopo ottanta. Colombe crede che è possibile ”affrettarsi a dimenticare” perchè la prospettiva della vecchiaia per lei è ancora lontanissima, come se la cosa non la riguardasse. Io ho capito molto presto che la vita passa in un baleno guardando gli adulti intorno a me, sempre di fretta, stressati dalle scadenze, così avidi dell’oggi per non pensare al domani… In realtà temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea.
Quindi non bisogna affatto dimenticare. Occorre vivere con la certezza che invecchieremo e che non sarò né bello né piacevole né allegro. E ripetersi che ciò che conta è adesso: costruire, ora, qualcosa, a ogni costo, con tutte le nostre forze. Avere sempre in testa la casa di riposo per superarsi continuamente rendere ogni giorno imperituro. Scalare passo dopo passo il proprio Everest personale, e farlo in modo tale che ogni passo sia un pezzetto di eternità.
Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.

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È da un pezzo che anch’io nutro dei sospetti su di lei. Da lontano è proprio una portinaia. Da vicino... beh, da vicino… c’è qualcosa di strano. […] Eppure si sforza, già, si vede che fa tutto il possibile per entrare nel ruolo della portinaia e sembrare stupida. Ma io l’ho osservata quando parlava con Jean Arthens, quando parla a Neptune alle spalle di Diane, quando guarda le signore del palazzo che le passano davanti senza salutare. Madame Micheal ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.

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C’è sempre la via della semplicità, anche se mi ripugna intraprenderla. Non ho figli, non guardo la televisione e non credo in Dio, tutti sentieri che gli uomini calpestano per rendere la loro vita più semplice. I figli aiutano a rimandare l’angoscioso dovere di affrontare sé stessi, compito a cui in seguito provvedono i nipoti. La televisione distrae dalla massacrante necessità di fare progetti a partire dal nulla delle nostre frivole esistenze e, ingannando gli occhi, solleva la mente dalla grande opera del senso. E infine Dio mitiga i nostri timori di mammiferi e l’insopportabile prospettiva che i nostri piaceri un giorno abbiano fine. Quindi io, senza futuro né prole, senza pixel per stordire la cosmica consapevolezza dell’assurdo, certa, invece, della fine e della previsione del vuoto, credo di poter affermare che non ho scelto la via della semplicità.
Eppure sono molto tentata.

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Questa è una cosa che ammiro in Margherite: sul fronte concettuale o logico non è proprio i fulmine, ma ha un’incredibile capacità di rispondere per le rime. È un dono. Io sono intellettualmente superdotata, Margherite invece è l’asso dalla battuta pronta. Mi piacerebbe moltissimo essere come lei, io trovo sempre la risposta giusta cinque minuti dopo, e poi mi rifaccio il dialogo da sola.

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